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Bucciano Benevento Sannio

Bucciano Benevento Sannio

Il territorio di Bucciano, ha una estensione di circa mille ettari e confina con i territori di Airola, Moiano, Bonea e Tocco Caudio dal lato della montagna.

L’ipotesi, maggiormente accreditata, di alcuni storici identifica Bucciano come il luogo di transito di un’antica via.

La storia di Bucciano è nebulosa e si collega ad un filo doppio con quella della vicina Airola di cui ne è stata sempre casale e ne ha seguito le sorti feudali ed amministrative in tutte le epoche.

Airola aveva ad essa annessi i casali di Mojano, Iuzzano e Bucciano; a quest’ultimo erano uniti tre altri Villaggi, distanti tutti un miglio circa da Airola, siti ai piedi del monte Taburno, con il nome di:

  • Pontesennoni, le cui dimore erano situate in un luogo basso vicino al fiume per la cura della canape. Successivamente, poichè l’aria si rendeva malsana a seguito della lavorazione suddetta, si stabilirono mezzo miglio sopra il luogo, più eminente e ventilato;
  • Pastorano, anticamente detto “Posto dei ladri”; i cittadini di Pontesennoni che andarono a stabilirsi in questo villaggio, per farli perdere un tale infame nome, cambiarono le due parole in Pastorano;
  • Fizzo.

Questi tre Casali formavano un solo comune con quello di Airola e da qui il motivo del nome Airola-Bucciano.

Si fa risalire al 1000-1100 il primo insediamento abitativo a Bucciano; tuttavia, le fonti documentarie non riportano alcun toponimo se non in data posteriore. Infatti, si incontra la parola Bucciano per la prima volta in un manoscritto del 1326. In particolare, in quest’anno, il paese prese il nome di Gucciano, da alcuni confuso con Cucciano, frazione di San Martino Sannita. I termini Gucciano o Cucciano, molto probabilmente erano legati alla Villa Cocceio rinvenuta nel territorio di Bonea. In qualche testo viene menzionata un’antica lapide, smarrita, dell’epoca romana, col nome di Cuccejanus. La scarsezza di documentazione, però, non può indurci a considerare quest’anno come punto di partenza per un’analisi storica del territorio. Al tempo di Guglielmo II il Normanno Bucciano, che apparteneva al vicino centro di Airola come Casale, fu feudo del conte Gionata di Caleno e verso la fine del XIII secolo, passò nelle mani di Martino Toccabove: già allora il casale di Bucciano doveva avere una certa fisionomia urbana, in quanto fu inserito nell’itinerario di visita che re Carlo D’Angiò tenne il 13 marzo 1377.

Quando fu feudo dei Carafa, Bucciano subì due violente incursioni: una prima volta Antonio Caldora da Colle Sannita prese d’assalto il casale e lo saccheggiò; una seconda volta, nel 1460, quando re Ferdinando pose l’assedio al villaggio e destituì la casata. In questa occasione la punizione fu esemplare: Bucciano venne messa a ferro e a fuoco e la popolazione del borgo venne decimata: a memoria dell’infausta ricorrenza il vecchio stemma municipale riportava una scena del villaggio distrutto e avvinto dalle fiamme.

Successivamente, il feudo di Bucciano, con quello di Airola, cui apparteneva, passa ai Della Leonessa e, più tardi, al Caracciolo. Agli albori del XVIII secolo, il casale di Bucciano aveva già acquistato la fisionomia di un agglomerato urbano a sé stante, in quanto, nelle occasioni di visite, le autorità già si fermavano in zona, a segno di una prolifica presenza. Anche il papa Benedetto XIII rimase profondamente legato a Bucciano, per aver vissuto nel convento mariano di Taburno, tanto che nel 1726 l’Orsini ordinò di far piantare nel terreno del Fizzo una colonna di marmo grigiastro.
I resti ancor’oggi visibili, in località Valle, fanno azzardare l’ipotesi che qui sorse il primo insediamento abitativo post-distruzione, ricostruito, in seguito alle due violente incursioni suddette. Ipotesi avvallata negli anni a seguire dalla notizia di un censimento di Bucciano che faceva registrare solo otto “fuochi”. Il termine “fuoco” indicava un’edificio abitato, considerando che in ciascuno di essi vivevano in media otto persone, possiamo affermare che la popolazione era pari a 64 individui e ci ritroviamo nella stessa epoca in cui si registra l’uso della vicina grotta di San Simeone, come luogo di culto, che non fa altro che rafforzare l’affermazione di partenza.

grotta san simeone bucciano

grotta san Simeone – Bucciano

Bucciano è nota per essere luogo d’origine delle sorgenti del Fizzo: in un antico documento del Cinquecento riscontriamo per la prima volta il termine Officzo per determinare quel territorio alle falde del monte Taburno. Inserito dall’UNESCO nel 1997 tra i beni da tutelare nella Lista del Patrimonio Mondiale, questa grandiosa opera di ingegneria idraulica fu realizzata da Luigi Vanvitelli su commissione del re Carlo III di Borbone, da cui il nome “Carolino”. Questo attraversava gran parte del territorio della Valle Caudina e portava l’acqua, grazie ad una imponente opera architettonica, ai “ponti di Valle” (Con i suoi 529 metri di lunghezza, 55.80 metri di altezza massima, tre ordini di arcate di 19, 28 e 43 per un totale di 90 arcate, il grandioso ponte unisce i monti Longano (est) e Garzano (ovest). A ridosso dell’ordine superiore di arcate, ove scorre l’acqua, fu realizzata una piccola strada ricoperta da basolato bianco. Mediante piccoli passaggi ricavati tra i vari archi è possibile attraversare agevolmente, in tutta la lunghezza dell’opera, gli ordini di arcate mediano e superiore) e alla Reggia di Caserta, in costruzione in quel periodo. Le acque del Fizzo, arrivando dopo un così lungo percorso, alimentavano giochi d’acqua, fontane e cascate, all’interno del bellissimo parco che circondava la Reggia. Tuttora l’acquedotto Carolino suscita ammirazione per la genialità con cui è stato progettato e costruito e rappresenta una delle più ardite opere di architettura idraulica di tutti i tempi. Partendo dalle sorgenti alle falde del Taburno, ad una quota di metri 254 slm, l’acquedotto arriva, dopo un percorso di 38 km, con una pendenza di 0.5 mm per metro, alla quota di m 203.50 slm alla cascata del Palazzo Reale, con una portata d’acqua che raggiungeva i 700 litri al secondo. L’inizio dei lavori di costruzione delle “arcate”, così come il Vanvitelli amava chiamarle, ebbero inizio nel marzo del 1753, due mesi dopo seguì la posa in opera della prima pietra alle sorgenti del Fizzo (21 maggio); terminarono nel novembre del 1759 e l’acquedotto intero inaugurato il 7 maggio del 1762. Costo dell’intera opera: 600.000 ducati.

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